mercoledì 13 agosto 2014

V/H/S 2 - S.Barrett, A.Wingard, E.Sanchez, G.Evans, J.Eisener; 2013

Due investigatori privati vengono incaricati di indagare sulla scomparsa di un ragazzo. I due s’intrufolano così nella casa dove quest’ultimo viveva e, in una delle stanze, rinvengono un gran numero di schermi e videocassette. Mentre uno dei due si dedica all’ispezione dell’abitazione, che pare essere disabitata, l’altro guarda alcuni dei nastri. Tra una registrazione e l’altra spunta fuori un filmato che mostra il ragazzo ricercato mentre, parlando direttamente alla telecamera, espone assurde teorie circa un  possibile “contagio psichico” causato proprio dalla visione di alcune immagini contenute nelle registrazioni.

Dopo il discreto successo di “V/H/S” arriva puntuale a distanza di un anno il sequel, prodotto ancora una volta da Brad Miska, ideatore del celebre portale horror BloodyDisgusting.  Nonostante lo schema generale sia stato mantenuto pressochè integro, “V/H/S 2” si avvale di storie dal contenuto narrativo decisamente  più convincente rispetto al capitolo precedente:

probabilmente, una maggiore disponibilità economica  ha dato modo ai registi di realizzare un
prodotto più curato sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista strutturale. In particolare l’episodio che fa da collante
“Tape 49”, diretto da Simon Barrett, riesce a svolgere saldamente la sua funzione narrativa, a differenza del deludente “Tape 56” del primo V/H/S, alla cui stesura dello script aveva tra l’altro partecipato anche lo stesso Barrett. La storia, che vede protagonisti due investigatori privati alle prese con la visione delle videocassette, risulta infatti molto più  compatta ed intrigante, incorniciando alla perfezione la pellicola. Nuovamente coinvolto nel progetto anche Adam Wingar
“Tape 56”, “You’re Next”) che dirige “Phase I: Clinical Trails”. In questo segmento il POV è affidato all’occhio bionico del protagonista, idea non originalissima ma tutto sommato godibile.  L’organo artificiale ha il “potere” di mostrare all’uomo ciò che la vista naturale non rivela: spiriti malvagi e persecutori. Sebbene il plot mostri degli spunti interessanti, la presenza massiccia e super condensata di elementi  che richiamano ai classici supernatural ghost movies, lo rende prevedibile e di scarso impatto. A seguire l’ottimo “A Ride in the Park” diretto da Eduardo Sanchez ( “The Blair Witch 
Project”; “Altered”). Classica storia di zombi resa originale da una brillante intuizione: mostrare tutto dalla soggettiva dello zombi stesso, tramite la videocamera che questo ha nel caschetto. Dal contagio, alla trasformazione, all’assalto cannibale: non ci viene risparmiato nulla. Ma il pezzo forte del film arriva con il terzo “A Safe Heaven” di Gareth Evans (“The Raid”). Una pseudo setta  di fanatici religiosi accoglie nel proprio rifugio alcuni giornalisti per un’intervista esclusiva che avrà luogo proprio nel giorno dell’avvento del Diavolo (in persona!). Oltre ad essere l’episodio dal minutaggio più lungo è anche quello più riuscito e sanguinolento. Abbandonata la prospettiva individuale, 
il regista mette in scena la storia attraverso soggettive diverse, con riprese che presuppongono un montaggio e che quindi varcano la soglia del found footage/mockumentary, creando un prodotto di più ampio respiro. Inquietante, brutale e tecnicamente ineccepibile. L’ultimo filmato è “Slumber Party Alien Abduction” di Jason Eisener (“Hobo with a Shotgun”): le giornate di un gruppo di adolescenti dediti a bravate di ogni genere, vengono sconvolte dall’arrivo dei grigi. C’è ben poco da dire sulla costruzione narrativa; il punto forte di questo episodio sta nel ritmo frenetico in cui ci vengono mostrate le immagini, con tanto di inseguimenti alieni ripresi attraverso la telecamera montata su un cane! Un sequel certamente all’altezza del suo predecessore, ma con alcune differenze 
sostanziali che lo contraddistinguono.Ogni segmentogode di una meticolosa ed accurata cura dei dettagli e, da questo punto di vista, “V/H/S 2” “tradisce” in un certo senso lo spirito iniziale del film: la bellezza estetica influisce inevitabilmente sull’atmosfera, non più  malata e casereccia  ma avvolta da una patina di “perfezione” che stona con gli intenti del film stesso. Anche l’idea di introdurre POV multipli, se da una parte rende la pellicola più coinvolgente e spettacolare, dall’altra snatura in parte l’idea di base che viene sviluppata seguendo maggiormente i classici canoni cinematografici. Un’opera comunque degna di nota e che merita sicuramente una visione anche da parte dei non amanti del genere.