mercoledì 29 luglio 2015

ALLELUIA - F. Du Welz, 2014

Gloria è una donna sulla quarantina, divorziata e con una figlia piccola. La sua vita è piuttosto monotona e deprimente. Scettica ma incoraggiata da un’amica decide di vedersi con Michel, conosciuto su un sito di incontri: è amore a prima vista. Nonostante l’uomo tenti di raggirarla, la devozione che Gloria nutre nei suoi confronti è così grande da spingerla ad appoggiare la sua condotta immorale e menzognera, al punto di diventare sua complice. In una spirale di passione e follia le loro vite cambieranno per sempre.

Con “Alleluia” Fabrice Du Welz chiude un triangolo perfetto iniziato con “Calvaire”, un horror atipico erroneamente classificato dai più come torture porn, e proseguito con il drammatico e logorante “Vinyan”. Il regista belga è indubbiamente uno dei nomi di maggiore spicco nell’ambito cinematografico europeo
– non esclusivamente horror – grazie alla potenza creativa ed alle peculiari capacità tecniche
dimostrate in ogni opera che porta la sua firma. Il pregio maggiore del cineasta è quello di aver plasmato  uno stile assolutamente personale ed unico nel suo genere, che rende arduo (ed anche inutile) qualunque tentativo di comparazione. “Alleluia”, più che un film nel senso stretto del termine,  rappresenta una dolorosa esperienza non solo  visiva ma anche e soprattutto spirituale, una discesa negli abissi che lascia un indelebile segno. Come in ogni pellicola targata  Du Welz, anche in questo caso l’accurato lavoro di caratterizzazione dei personaggi svolge un ruolo fondamentale nel veicolare il messaggio del film. Eccellente la prova attoriale di Lola Duenas nei panni dell’isterica Gloria, il cui lavoro (preparare le salme) rispecchia un’esistenza vuota e triste, e che troverà nella figura di Michel un’occasione di riscatto da inseguire ad ogni costo (letteralmente). Il bel tenebroso protagonista maschile è interpretato da un brillante e carismatico Laurent Lucas (già protagonista di “Calvaire”), la cui natura scaltra e disonesta è frutto di un passato terribile, costellato da incesti e violenze.  I due amanti, dipinti con tratti caricaturali ed animaleschi, manifestano  metaforicamente e senza limitazioni alcune la vera essenza dell’uomo.  Abbracciando le più spontanee e primitive pulsioni istintuali e spegnendo ogni barlume di moralità e raziocinio, essi si ritroveranno prigionieri in un mondo da loro stessi creato, dove l’agghiacciante realtà si scontrerà ferocemente con l’illusione della felicità. La trama (ispirata alla vicenda dei “killer della luna di miele” Raymond Fernandez e Martha Beck) si snoda attraverso ritmi lenti ma funzionali alla comprensione della natura e dei comportamenti dei due personaggi.  Le tempistiche così volutamente dilatate consentono a Du Welz di costruire un immenso castello immaginifico
che sfrutta una messa in scena disturbante ed esteticamente magnifica, immersa in un’atmosfera surreale che fa da perfetta cornice alle gesta omicide dei nostri. Tanti infatti sono i momenti onirici, enfatizzati da una staticità di fondo  (a tratti davvero straniante e suggestiva) che coinvolge una regia meticolosa e poliedrica, in grado di smorzare – anche se in modo discontinuo – la pesantezza narrativa. Le azioni criminose ed efferate che si consumano – con una certa ridondanza – altro non sono che la trasposizione materiale di un sentimento ossessivo e morboso declinato in possesso, vendetta ed egoismo.  E così, man mano che passano i minuti, lo spettatore si ritrova intrappolato in un turbinio di emozioni devastanti, subendo passivamente e con disagio  l’immedesimazione con i personaggi. Ridimensionando il contesto e spogliandolo di quell’estremismo che lo rende efficace nella finzione cinematografica ma improbabile nella realtà, tutti noi possiamo identificarci in diversa misura in Gloria e in Michel, ed è forse la consapevolezza di ciò che rende il film così spietato e brutale. L’opera non è certo stata concepita per intrattenere: per apprezzarla a pieno e per coglierne le infinite sfumature è necessaria la giusta predisposizione d’animo. In conclusione, “Alleluia” è un viaggio allucinante nelle terre desolate del dramma, della solitudine e della speranza (tradita); una danza infernale tra odio e amore. Una visione malata e sofferta davvero difficile da dimenticare.

Pubblicato su HorrorMovie