lunedì 8 febbraio 2016

VOMIT GORE 4: BLACK MASS OF THE NAZI SEX WIZARD, L.Valentine - 2015

[CLICK HERE FOR ENGLISH VERSION]

Se non vi fosse bastata la trilogia eccovi servito il quarto capitolo della Vomit Gore saga: “Black Mass of the Nazi Sex Wizard”. L’edizione del DVD, distribuito dall’austriaca Black Lava Enterteinment, si presenta in una confezione molto curata che farà certo felici i collezionisti. Nonostante sia concepito e presentato come un prequel, in realtà questo nuovo episodio può essere visto come una costola o un proseguimento della trilogia, la quale manca di una progressione narrativa e di una trama, nella sua accezione tradizionale. Per stessa ammissione del regista, le sue pellicole esulano dal significato classico di film per abbracciare un processo di disintegrazione cinematografica dominato da
una discontinuità spazio-temporale volta a raffigurare la distruttiva condizione umana (concetti che richiamano il satanismo laveyano e che Valentine ama fondere con i principi della meccanica quantistica). Un ostacolo non di poco conto per lo spettatore e tuttavia essenziale per l’identità simbolica dell’opera. La grande assente di questo nuovo progetto è Ameara LaVey, musa ispiratrice del Re del vomito nonché sua compagna di vita ai tempi del primo “Slaughtered Vomit Dolls”, una sorta di documentario interamente girato con camera a mano che testimonia un periodo particolarmente buio – fatto di bulimia, alcol e droga – dell’attrice porno. Il personaggio di Ameara prende il nome di Angela Aberdeen, una ragazza che da piccola ha subito abusi sessuali e che, una volta cresciuta, si rifugia in un mondo di eccessi e prostituzione.  In questa discesa negli abissi  la donna incontra Lucifer Valentine, un amico immaginario. Le manifestazioni fisiche di questo rapporto, costantemente in bilico tra incubo e realtà, vengono immortalate dalla telecamera dando vita ad un viaggio infernale.  Viaggio che, visivamente,  nel corso dei tre capitoli cambia nella forma ma non nella sostanza.  Dopo un esordio decisamente amatoriale e sporco (e se vogliamo più inquietante), Valentine si lancia a capofitto nei territori dell’art house più estrema e leziosa. I successivi “ReGoregitated Sacrifice”, “Slow Torture Puke Chamber” e “Black Mass of the Nazi Sex Wizard” concedono infatti ampio spazio ad un’eleganza formale – dall’utilizzo delle luci, alla scenografia, alla saturazione dei colori – atta ad esasperare la brutalità (crescente) dei contenuti.  Chi conosce le opere dell’eccentrico regista sa esattamente cosa aspettarsi: donne nude che vomitano, poi vomitano ed infine vomitano. La domanda fatidica è dietro l’angolo: qual è il senso di mostrare rigurgiti – rigorosamente reali – per oltre un’ora? Dal momento che gli intenti del regista sono difficilmente intuibili, per molti la risposta è la più semplice e logica: shock fine a sé stesso.  Visto secondo la prospettiva di Lucifer Valentine – emetofilo dichiarato – l’atto del rigetto gastrico rappresenta una sorta di catarsi attraverso la quale il soggetto tenta disperatamente di esorcizzare la traumatica dimensione in cui vive. Una certa connotazione autoreferenziale, probabilmente inconscia, influisce notevolmente sul processo creativo del regista, il quale esprime per mezzo di immagini  psicologicamente e fisicamente violente , la sua personalità, fregandosene abbastanza del riscontro del pubblico. La visione di “Black Mass of the Nazi Sex Wizard”, a differenza dei
precedenti capitoli,  è resa più tollerabile grazie ad un montaggio meno frenetico (“ReGoregitated Sacrifice” è un attentato agli epilettici) e ad una colonna sonora doomeggiante ed ipnotica, accompagnata dalla voce distorta dei protagonisti, che acuisce la sensazione di disagio e straniamento. Tra un conato e l’altro, appaiono insistenti frammenti di concorsi di bellezza: una condanna a quell’educazione che impone il raggiungimento di canoni estetici perfetti, diretta causa dei disturbi alimentari (in special modo della bulimia, leitmotiv a cui Valentine è tanto affezionato).  Mentre da una parte vediamo Angela, completamente sottomessa al suo master e devota alle forze del male, dall’altra assistiamo alla manifestazione diabolica dei suoi alter ego: donne che si mutilano a vicenda e che mangiano interiora per poi vomitarli dentro la carcassa del cadavere ed altre amenità del genere. Gli effetti speciali risultano eccessivamente plastic osi e caserecci, ma fanno comunque il loro sporco lavoro.  Non a caso però le scene più forti sono quelle reali. E non poteva mancare il mitico Hank Skinny “stomaco di ferro”, noto per la sua abilità di bere il suo stesso vomito per poi rivomitarlo e così via all’infinito (scena che potrete apprezzare in “Slaughtered Vomit Dolls”). L’effetto scioccante tuttavia si esaurisce ben presto: la ripetitività delle situazioni anestetizza lo spettatore (quanto meno il meno impressionabile) e il lungo minutaggio finisce per avere l’effetto opposto a quello desiderato. Trovo che la parvenza intellettuale e pseudo filosofica che Valentine da al progetto (ammesso che in realtà non sia una grande presa per i fondelli) non rappresenti un valore aggiunto bensì un inutile orpello che maschera una condizione sessuale non normale (nel senso statistico del termine) ed inevitabilmente sottoposta al giudizio morale di chi guarda. Motivo per il quale si innesca un meccanismo vizioso che non consente di comprenderne il significato né tanto meno di apprezzare l’opera per quello che è realmente: una gita alienante e sconvolgente in compagnia di succhi gastrici, sangue e parafilie. Tuttavia, è un’esperienza visiva che almeno una volta nella vita ogni amante del cinema degli eccessi dovrebbe concedersi, preferibilmente dopo un’abbondante cena.